Breve analisi sulla legittimità del Regolamento per l’affidamento del patrocinio

Il Gruppo Equitalia S.p.A. ha di recente pubblicato il Regolamento per la costituzione dell’elenco degli avvocati difensori dell’Ente.

L’Avviso ha suscitato un acceso dibattito (e di certo anche qualche ricorso al T.A.R. Lazio) a causa dei requisiti richiesti per l’accesso alla lista, requisiti che – al di là della necessaria e comprovata competenza richiesta agli avvocati nei diversi ambiti della difesa – attengono a fattori dimensionali degli studi professionali, anche sotto il profilo del fatturato, e a fattori ulteriori poco o per niente attinenti con l’effettiva idoneità dell’avvocato a difendere l’ente.

Il provvedimento, sebbene presti il fianco a pronunce di illegittimità e rischi il parziale annullamento, riguarda una materia – la difesa in giudizio degli Enti – che spesso sfugge alla determinazione di regole puntuali di legittimità.

È utile, pertanto, chiarire i punti principali della questione nel contesto normativo di riferimento.

La difesa in giudizio degli organismi di diritto pubblico alla luce del nuovo Codice dei Contratti Pubblici

Gli organismi di diritto pubblico – al pari degli Enti Pubblici – soggiacciono, per l’affidamento di servizi, al regime dell’evidenza pubblica e sono pertanto sottoposti alla disciplina prevista dal Codice dei Contratti Pubblici, il recente d.lgs. 18 aprile 2016, n°50.

La materia dell’affidamento di incarichi di consulenza e assistenza legale, tuttavia, è oggetto di una disciplina parzialmente derogatoria rispetto a quella ordinaria, che consente all’ente di agire con strumenti più duttili e scevri da molte delle formalità previste per le gare pubbliche.

Con qualche rischio per le garanzie di imparzialità di scelta.

Veniamo, dunque, all’analisi della normativa sugli affidamenti di servizi legali.

Sul punto, occorre segnalare una distinzione preliminare, operata dalla recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, tra le diverse modalità di prestazione dei servizi legali, a seconda che gli stessi si traducano in una prestazione occasionale di patrocinio ovvero che costituiscano una forma organizzata, complessa e continuativa di assistenza.

Nel primo caso, a parere dei giudici di Palazzo Spada, si configura un mero contratto d’opera intellettuale, species del genus contratto di lavoro autonomo, con la conseguenza che il conferimento del singolo e puntuale incarico non potrà soggiacere ad alcuna procedura di stampo selettivo, che risulterebbe incompatibile con la struttura della fattispecie, caratterizzata – stante l’aleatorietà del giudizio – dalla non predeterminabilità degli aspetti temporali, economici e sostanziali delle prestazioni e quindi per la mancanza di basi oggettive su cui fissare i criteri di valutazione necessari per l’applicabilità del Codice dei Contratti.

Viceversa, si configurerebbe un affidamento di servizi legali solo laddove l’oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’ente, ma si traduca quale modalità organizzativa di un servizio complesso, articolato e continuativo, con conseguente applicazione della normativa generale in materia di affidamenti.

Discussa è, pertanto, la disciplina applicabile e l’effettiva portata e ampiezza del sistema derogatorio previsto dal Codice dei contratti pubblici.

Premesso ciò, e posto che l’intuitus personae è tratto che permea in modo identico le due fattispecie di patrocinio legale, la giurisprudenza ritiene che il conferimento del singolo incarico episodico, legato a puntuali esigenze di difesa dell’ente, non costituisca appalto di servizi legali ma integri un contratto d’opera intellettuale.

Ora, sebbene i contratti di prestazione d’opera intellettuale siano generalmente sottoposti alla disciplina del Codice dei Contratti pubblici, vi sono talune categorie, tassativamente previste dagli art. 5-20 d.lgs. cit., per le quali la disciplina soffre non poche eccezioni.

Nello specifico, l’art. 17 elenca e disciplina una serie di esclusioni per contratti di appalto e concessione di servizi; la lett. d) vi include i “servizi legali, di assistenza legale, di rappresentanza legale in un giudizio anche arbitrale, di consulenza legale fornita in preparazione di un procedimento giudiziale o in vista dello stesso”.

L’esclusione discende, a parere di chi scrive, da una antica (ed in parte giustificata) riluttanza del legislatore a creare dei meccanismi di affidamento del patrocinio legale che bypassino del tutto la matrice fiduciaria dell’incarico (e sul punto, ci si può chiedere come l’ente pubblico possa esprimere una preferenza basata sull’intuitus personae).

Un ulteriore ostacolo all’applicazione della disciplina ordinaria degli affidamenti sarebbe rappresentato, secondo molti, dalla difficoltà di ricorrere ad una formula procedimentale lunga e farraginosa dell’affidamento in appalto per questioni che, viceversa, richiedono per loro natura celerità e prontezza di intervento.

Insomma, la problematica della natura degli incarichi ad avvocati non risulta ad oggi del tutto chiara né a livello normativo né sul piano giurisprudenziale.

La tesi secondo cui i patrocini legali sarebbero da considerarsi sic et simpliciter incarichi fiduciari, in ragione della specialità della prestazione di rappresentanza e difesa dell’ente, risulta oramai superata; tuttavia, appare impensabile poter ricondurre tutti gli incarichi legali alla disciplina degli appalti pubblici di servizi.

Pertanto, l’evoluzione della giurisprudenza, anche sulla scorta delle direttive europee che hanno imposto la revisione del sistema dei Contratti pubblici, ha portato, da un lato, ad escludere l’obbligo di espletamento di una procedura comparativa di stampo concorsuale e dall’altro, a imporre all’ente comunque una attività di selezione del difensore secondo i principi generali dell’azione amministrativa in materia di imparzialità trasparenza e motivazione, onde rendere possibile il vaglio sulla congruità della scelta fiduciaria rispetto al bisogno di difesa dell’ente.

Tale orientamento è stato stigmatizzato dall’art. 4 del d.lgs. n°50/2016, rubricato principi relativi all’affidamento dei contratti pubblici esclusi, che dispone che l’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del codice, avvenga nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica.

Sulla scorta della direttiva europea 2014/24/UE, viene peraltro introdotto un light regime, ovvero una disciplina “alleggerita” per valore e per contenuti. Per valore, perché per tali appalti viene introdotta la nuova soglia di rilevanza di € 750.000,00; per contenuti, perché la direttiva si limita a dettare i criteri minimi relativi, ad esempio, alla pubblicazione di bandi e avvisi, assegnando ai singoli Stati la competenza a disciplinare le singole procedure.

A parere di chi scrive, considerati anche i limiti posti al sindacato sul potere discrezionale, il sistema opera una contraddizione in termini, laddove crea contiguità tra la prestazione d’opera legata all’intuitus personae e il tentativo di ricondurre la stessa nell’alveo dei criteri generali dell’agire amministrativo.

I requisiti previsti dal Regolamento: quale imparzialità?

Se questo è il quadro di riferimento, passiamo al vaglio delle modalità e dei requisiti richiesti dal Regolamento pubblicato dal Gruppo Equitalia S.p.A.

È bene precisare che gli enti – per districarsi nel complesso quadro normativo delineato – selezionano i propri patrocinanti secondo una procedura diversa dall’affidamento in appalto, ma che al contempo è idonea a garantire trasparenza e pubblicità delle scelte, ovvero pubblicando Avvisi destinati ai difensori del libero foro, con invito ad inviare curricula e titoli abilitativi per poter essere poi – all’occorrenza – selezionati dall’ente in ragione delle necessità di difesa.

Gli affidamenti sono così ammissibili in quanto conferiti nel rispetto delle regole di pubblicità e trasparenza e basati su valutazioni di tipo comparativo, assunte non sulla base di requisiti prestabiliti, ma sulla base delle esigenze di difesa dell’ente nelle vicende specifiche che via via si propongono (data la già richiamata impossibilità di operare una determinazione preventiva delle stesse, con conseguente individuazione di parametri selettivi ad hoc).

Invero, a parere di chi scrive, Equitalia non si è mossa in questa direzione, in quanto ha creato un sistema che, formalmente, ricalca il modello delle short list oramai collaudato dagli Enti pubblici, ma sostanzialmente è una vera e propria gara di appalto per l’affidamento del patrocinio, anche in forma occasionale.

Una gara che però non dimostra di rispettare il dettato previsto del Codice dei Contratti, in quanto prevede come requisiti per la partecipazione, tra l’altro, l’iscrizione all’Albo degli avvocati da almeno cinque anni, aver conseguito, negli ultimi tre anni solari antecedenti alla data di pubblicazione dell’avviso, un volume di affari pari ad almeno 100,00 euro IVA e CPA escluse, aver realizzato negli ultimi tre anni di attività un fatturato specifico in attività analoghe a quelle oggetto di della specifica sezione per la quale si richiede l’iscrizione pari ad almeno 50.000 euro, IVA e CPA escluse, essere dotato della collaborazione diretta e stabile di almeno due collaboratori iscritti all’Albo degli Avvocati, nonché di una segreteria che assicuri la reperibilità dal lunedì al venerdì nella fascia oraria 8.00/20.00.

Il Regolamento, insomma, non solo pretende di stabilire a monte a quali esigenze di difesa andrà incontro l’Organismo in termini di difesa legale, ma vi correla anche dei requisiti e criteri di selezione che non sono affatto indicativi della idoneità del professionista a patrocinare l’organismo, ma che viceversa somigliano pericolosamente a fattori di discriminazione.

I requisiti richiamati si manifestano infatti del tutto scollegati dall’oggetto del Regolamento, oltre che dalla realtà economica e sociale dell’Avvocatura (specie in alcune zone d’Italia), e sono idonei a creare una barriera all’accesso arbitraria e illegittima, con conseguente concentrazione del mercato dei servizi legali in capo a soggetti già forti e limitazione della libera concorrenza.

Vero è che l’Organismo non è tenuto ad applicare la normativa generale prevista dal Codice dei Contratti per gli affidamenti di servizi; ciò nondimeno i requisiti appena richiamati appaiono illegittimi qualsiasi sia la disciplina applicabile.

Infatti, il recente d.lgs. n. 50/2016 cit., sulla scorta di precise indicazioni del legislatore europeo, si muove nella direzione di escludere (salvo ipotesi peculiari e previa congrua motivazione) la imposizione di requisiti basati su fattori dimensionali e di fatturato, così come limita la possibilità di stabilire criteri basati sull’anzianità di iscrizione agli Albi (o, quantomeno, consente ai partecipanti di sopperire alla carenza di tale requisito facendo ricorso allo strumento dell’avvalimento).

Tale orientamento, reso cogente dalla nuova disciplina su appalti e concessioni, non discende da una fantasia del legislatore, ma è frutto della lenta evoluzione che prende le mosse delle esperienze legislative nazionali maturate in materia di prevenzione della corruzione e passa per le nuove frontiere del libero mercato dei servizi.

Il legislatore, infatti, con la recente riforma su appalti e concessioni, non ha fatto altro che rendere puntuali degli orientamenti nati dalla giurisprudenza nazionale ed europea che sono espressione di principi generali oramai consolidati e maturi, quali il favor partecipationis, la pubblicità, la trasparenza, il rispetto della libera concorrenza tra gli operatori del mercato.

La normativa “ordinaria” sugli affidamenti pubblici crea un meccanismo di garanzie per i partecipanti alle procedure selettive che rischia di venire meno nei settori esclusi. Per scongiurare tale evenienza risulta dunque necessario appellarsi ai principi dell’agire amministrativo, norme imperative e di rango costituzionale che sono la matrice delle disposizioni puntuali previste dal Codice.

Anche sotto questo profilo, tuttavia, Equitalia non sembra aver rispettato le garanzie minime dell’agire amministrativo.

E ciò si evince dalla imposizione dei già richiamati limiti all’accesso che tengono conto di requisiti come il fatturato del professionista e il numero di collaboratori fissi; quest’ultimo infatti altro non è che espressione indiretta del volume d’affari gestito dall’avvocato.

È evidente che tali requisiti, limitando fortemente la platea dei destinatari degli affidamenti, sono ingiustificatamente lesivi del principio di favor partecipationis, diretta estrinsecazione dei valori costituzionalmente garantiti di imparzialità e buon andamento dell’agire amministrativo.

Insomma, nell’attesa di conoscere l’esito dei ricorsi pendenti innanzi al TAR Lazio in merito alla legittimità del Regolamento, possiamo di certo affermare che ci troviamo ancora una volta di fronte ad un uso distorto del potere pubblico nella selezione degli interlocutori dello Stato.

Le scelte politiche sottese all’emanazione del Regolamento lasciano infatti intendere che la crisi – non sono economica, ma anche e soprattutto del buon governo e dell’etica pubblica – permane e si riflette nell’amministrazione e nella sua imparzialità come in uno specchio, a scapito dei professionisti e dei cittadini.

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