Quando la semplificazione compromette la tutela dei consumatori

La conciliazione paritetica nasce come ADR, Alternative Dispute Resolution, ovvero come sistema alternativo per tentare di risolvere il contenzioso tra consumatori e imprese, senza ricorrere al giudice.

Nell’ambito dei rapporti regolati da RC auto, la conciliazione paritetica nasce da un accordo tra l’ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) e alcune Associazioni dei Consumatori, al fine dichiarato di facilitare i rapporti tra assicurati e Compagnie, riducendo il contenzioso nel settore responsabilità civile automobilistica.

Le controversie che possono essere trattate mediante la conciliazione paritetica sono quelle relative a sinistri la cui richiesta di risarcimento non sia superiore a 15.000,00 euro.

Il consumatore iscritto ad una delle Associazioni firmatarie dell’accordo può ricorrere alla procedura di conciliazione dopo aver presentato una richiesta di risarcimento del danno e dopo aver fornito all’impresa assicuratrice competente tutte le informazioni necessarie per il suo accertamento e la sua valutazione.

Il meccanismo è apparentemente semplice e rapido: il consumatore inoltra una domanda di conciliazione ad una delle Associazioni firmatarie, sottoscrivendo un apposito modulo, con il quale si impegna ad accettare integralmente il contenuto dell’eventuale verbale di conciliazione quale espressione della propria volontà contrattuale.

Insomma, un ampio mandato a transigere conferito ad un’associazione di consumatori – previa iscrizione (naturalmente onerosa) a quest’ultima –  piuttosto che ad un proprio fiduciario.

L’Associazione interpellata esamina le ragioni del consumatore e valuta – secondo parametri del tutto indeterminati e indeterminabili – la fondatezza della richiesta del proprio iscritto/assistito.

In altri termini, l’Associazione opera un “filtro” per la proposizione della conciliazione all’impresa destinataria.

Qualora la controversia sia valutata come suscettibile di tutela, verrà costituita una Commissione di conciliazione, composta da un rappresentante dell’impresa di assicurazione e da un rappresentante dell’Associazione dei consumatori prescelta.

Secondo il Regolamento sottoscritto da ANIA e Associazioni dei Consumatori, il procedimento di conciliazione paritetica sarebbe del tutto gratuito, fatta salva – ovviamente – la quota associativa che il consumatore deve pagare per l’iscrizione all’Associazione prescelta.

L’assicurato, per accedere a tale procedura non deve aver incaricato altri soggetti a rappresentarlo ovvero, in caso di incarico già conferito a terzi, è tenuto a ritirarlo prima di avviare la procedura di conciliazione.

In altre parole, la procedura “semplificativa” impedisce al Consumatore/assicurato di beneficiare dell’assistenza di un avvocato.

La clausola, già ad una prima lettura, limita visibilmente il diritto di difesa del consumatore nella delicatissima fase conciliativa, che qualora venga gestita incautamente, può pregiudicare gli interessi dell’assicurato fino a precludergli la possibilità di espletare con successo un’azione giudiziaria.

Il tutto avviene in un settore contrattuale – quello assicurativo – in cui la sproporzione tra le parti assume connotati determinanti, a causa delle innumerevoli clausole “invisibili” volte a limitare la responsabilità dell’assicuratore a fronte della legittima richiesta risarcitoria dell’assicurato.

Alle numerose critiche sollevate avverso tale meccanismo, i firmatari dell’Accordo rispondono che la procedura di conciliazione paritetica è facoltativa per il consumatore, che può sempre scegliere di rivolgersi al proprio legale per la gestione della controversia.

Tuttavia, pare che tale accorgimento non basti a “salvare” il procedimento di conciliazione paritetica dai dubbi in ordine ai pregiudizi che potrebbe arrecare ai consumatori, soprattutto alla luce della circostanza che – nella pratica – sono le Compagnie di assicurazione a disciplinare la clausola sulla conciliazione paritetica all’interno dei propri prodotti assicurativi, declinandola secondo le proprie “preferenze” contrattuali.

È accaduto allora che la Compagnia Allianz S.p.A. ha modellato la clausola della conciliazione paritetica, tanto da renderla una pericolosa rinuncia preventiva e obbligatoria al diritto di difesa.

La clausola più comunemente inserita nelle polizze assicurative è del seguente tenore: “per i sinistri gestiti con la procedura di risarcimento diretto CARD, l’assicurato si impegna a: – non affidare la gestione del danno a soggetti terzi che operino professionalmente nel campo del patrocinio (ad es. avvocati, procuratori legali o simili); – ricorrere preliminarmente alla procedura di conciliazione paritetica se l’ammontare del danno non supera i 15.000 euro. In cambio di tale obbligo l’impresa opera lo sconto del 3,5% sul premio annuo netto RCA; per contro, se l’assicurato viola il predetto impegno, l’impresa applica una penale di 500,00 euro, da detrarsi dalla somma dovuta a titolo di risarcimento, con il limite di quest’ultimo”.

In altri termini, la disposizione contrattuale prevede un impegno (rectius, un obbligo) per l’assicurato di non affidare la gestione della propria legittima pretesa risarcitoria ad un patrocinante, pena l’applicazione di decurtazione sulla somma dovuta a titolo di risarcimento pari a € 500.

La semplice formulazione di una richiesta di risarcimento danni ad opera di un avvocato comporta l’applicazione della sanzione, anche nelle ipotesi in cui l’intervento del difensore risultasse decisivo al fine di comporre la controversia in via stragiudiziale, evitando il successivo contenzioso.

Tutto ciò avviene senza che all’assicurato venga concessa possibilità di difendersi nel modo più adeguato. Al più, egli potrà ricorrere ad un’associazione dei consumatori che valuterà – secondo criteri e competenze tutti da definire – la fondatezza della richiesta risarcitoria, per poi sottoporla ad un ulteriore organismo a composizione mista che deciderà, con pieni poteri di transigere, le sorti dell’assicurato/consumatore.

Insomma, dalla ricostruzione sin qui proposta, la clausola non può che apparire del tutto illegittima e lesiva dei diritti dell’assicurato.

L’assistenza dell’avvocato, infatti, sempre più spesso risultata decisiva e risolutiva della controversia, atteso che la Compagnia, prima di addivenire all’accordo stragiudiziale, è solita prospettare una serie di eccezioni – ovviamente infondate – volte a negare o a limitare ingiustificatamente il diritto a risarcimento in capo all’attore.

È ragionevole ritenere che, qualora il danneggiato avesse proceduto personalmente a formulare la richiesta di risarcimento, giammai avrebbe trovato soddisfazione e ristoro dei danni subiti, non avendo gli strumenti tecnici e giuridici per difendere i propri diritti.

Da questa breve disamina emerge un dato significativo, che prescinde dal contrasto della richiamata clausola con il Codice dei Consumatori: la tutela dei diritti, assicurata dall’avvocato nello svolgimento della propria funzione sociale, non si limita all’azione giudiziale, ma si estende anche alle fasi stragiudiziali, dove lo squilibrio tra i contraenti è ancor più evidente e rischia di generare sperequazioni e ingiustizie.

Infatti, l’assistenza di un avvocato nella speciale procedura stragiudiziale in materia di RC auto, obbligatoria per legge, è ritenuta dalla Cassazione “necessitata e giustificata, in funzione dell’attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento” (in termini, cfr. Cass. Civ., Sez. III, 21.01.2010, n. 997).

È evidente, pertanto, la nullità assoluta della clausola prevista nel contratto assicurativo predisposto dall’Allianz S.p.A. per insanabile contrasto con l’articolo 24 della Costituzione, che ritiene la difesa “un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.

In secondo luogo, il divieto di incaricare un avvocato si pone in evidente contrasto don le previsioni contenute nel D.Lgs. n. 206/2005, cd. Codice del Consumo, in particolare,

  • con l’art. 33, n. 2 lett. b), in quanto l’impedimento ad incaricare subito un difensore ha l’indiscutibile effetto di “escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista”;
  • con l’art. 33, n. 2 lett. t), che qualifica come vessatorie le clausole contrattuali che comportano “a carico del consumatore…restrizioni della libertà contrattuale nei rapporti con i terzi”, quale, in tutta evidenza, può essere il rapporto di incarico professionale conferito al proprio difensore “o a simili”.

La sanzione prevista, inoltre, appare illegittima anche in relazione a quanto previsto all’art. 33 n. 2 lettera f) che ritiene vessatoria la clausola con la quale si ritiene di “imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo”. La penale appare invero manifestamente eccessiva anche avendo riguardo al bilanciamento con i presunti benefici (lo sconto del 3,5%) che competerebbero dell’assicurato.

È evidente che la disposizione contrattuale richiamata si inserisce tra le clausole che hanno l’effetto di ridurre e/o limitare l’obbligazione dell’assicuratore contraente, rendendo più gravosa, parallelamente, l’obbligazione del consumatore/contraente debole.

La clausola, oltre che all’attenzione dei giudici, è stata oggetto di una consultazione promossa dall’AGCM, Autorità preposta – tra l’altro – alla tutala amministrativa in materia di vessatorietà delle clausole contrattuali tra imprese e consumatori.

L’Autorità indipendente che si è pronunciata sul punto, con provv. n. 26255/2016 nel procedimento CV144, dichiarando la vessatorietà della clausola in materia di conciliazione paritetica, in quanto la sua formulazione risulterebbe “oscura e incomprensibile” per il consumatore, comportando l’applicazione di una penale manifestatamente eccessiva ed una ingiustificata restrizione della libertà contrattuale del consumatore nei rapporti con i terzi.

 

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